lunedì 28 gennaio 2013

PARCO DI LAMA BALICE: Vigilanza Zero. Il Primo importante intervento






€ 5.000.000,00 
questo l'importo per una seconda vita del Parco di Lama Balice che viene annunciato sulla stampa nazionale, mentre domenica mattina scorsa una vita si spegneva sul ciglio di un tratturo in territorio del Parco, nei pressi di terrazzamenti coltivati in agro bitontino. La scena è raccapricciante sotto i nostri occhi, usciti in perlustrazione alla ricerca di carrubi secolari.
Come è possibile che possa essere sfuggito alla vigilanza l'abbandono di un cavallo di queste dimensioni?

La Ripartizione Ambiente del Comune di Bari affida l'incarico per redigere il Piano del Parco all'interno del quale verranno indicate le attività da autorizzare e, auspichiamo, necessarie alla riqualificazione dell'area naturale protetta.

Cerchiamo di analizzare quali possono essere le priorità vitali e fondamentali per dare una naturale seconda vita al Parco, che scaturiscono dalle finalità stabilite dalla legge regionale n. 15/2007:

1) La perimetrazione del Parco e l'installazione di segnaletica opportuna, con eventuale recinzione;
2) Un sofisticato e tecnologico sistema di vigilanza al servizio della Polizia provinciale e di ausilio anche ai consorzi di vigilanza campestre, monitorato 24 ore su 24 da un apposito ufficio;
3) Un Piano antincendio per scongiurare o limitare gli incendi: nel 2012 ce ne sono stati 3 che hanno distrutto centinaia di ettari di macchia mediterranea;
4) Progettare sistemi di ripopolamento e naturalizzazione delle specie vegetali;
5) Progettare percorsi di mobilità lenta e itinerari educativi;
6) Un progetto di pulizia dai rifiuti esistenti e troppo spesso abbandonati.

Questi secondo noi sono gli interventi urgentissimi da mettere in cantiere a breve scadenza per salvare e tutelare la variegata biodiversità del Parco e poter affermare di aver compiuto azioni per uno sviluppo sostenibile.

Il Parco di Lama Balice è definito dagli esperti un Corridoio ecologico di importanza comunitaria e in quanto tale tutti gli interventi devono, riteniamo, essere impostati per raggiungere il più alto livello di tutela naturalistica e ambientale, sia per le specie vegetali che animali, sia per il cittadino fruitore.

Cinque milioni di euro di fondi pubblici a disposizione del Parco di Lama Balice. Strepitoso. Finalmente

Però l'amministrazione comunale intende finanziare interventi nel Parco di Lama Balice senza consultare l'Ente Parco e l'assemblea di soci composta da Provincia di Bari e i Comuni di Bari e Bitonto.

Classica situazione di assenza di concertazione.
E non è il primo espisodio riguardante la Lama Balice!!!

E comunque, riteniamo che non si possano affidare incarichi di progettazione e relativi interventi costruttivi per la realizzazione di grandi opere infrastrutturali, senza approvare il Piano del Parco.

Senza un Bando Pubblico, specie in presenza di tale entità di soldi pubblici !!!

Cosa può fare la comunità dei tutori della natura di questo Parco?





lunedì 21 gennaio 2013

Il cardo mariano: Proprietà salutari


 Cardo Mariano amico del fegato

Durante le passeggiate che settimanalmente vengono effettuate dal gruppo composto da Sergio Chiaffarata, Ferdinando Atlante, Onofrio Pinto, Peppino Saracino, Francesco Schiraldi, Marco Petruzzelli, Enrico Ancora ed io, ognuno per la propria passione e competenza, veniamo attratti dalla diversità delle specie che dimorano nell'area del Parco di Lama Balice.
Io mi dedico alle specie vegetali.
Esemplari di rara bellezza e ricchezza, nelle fasi di crescita stagionale.
E così dopo il carrubo vi voglio illustrare il Cardo Mariano.
Iniziando dalle specialità gastronomiche, raccontandovi dell'esperienza personale di qualche giorno fa.
Dovete sapere che ogni settimana raccolgo un misto per la mia dose settimanale, le cosiddette "fogghjie de fore" erano composte da marogghjie, paneecocche, sivone, cime scazzidde, borraggine, cime rapone, bietola selvatica e cardelli (cardoncello).


Quest'ultimo come gli altri "familiari" è dotato di foglie spinose ed io mi sono detto nella bollitura tutto si cuocerà (anche le spine). E' risaputo che le fogghjie de fore hanno proprietà lassative e depurative ed ora aggiungo spazzatutto!!, le spine non si sono completamente cucinate e hanno  l e t t e r a l m e n t e  raschiato le pareti dell'esofago fino allo stomaco.
Ahiai non ci provate!!!!
Questo episodio è stato educativo, ieri pomeriggio mi son tagliato tutte le spine e mi mangerò i cardelli in brodo con abbondante pecorino.

Di seguito due ricette della cucina popolare pugliese: 

1)       Coste carnose di cardo mariano, pangrattato, pecorino grattugiato, olio, sale e pepe.
Togliere dalle foglie le parti ruvide e spinose e lessare. Poi sistemare in una teglia, innaffiare con acqua e condire con pangrattato, formaggio pecorino grattugiato, olio, sale e pepe. Passare al forno. Saranno cotti quando si sarà formata una crosticina dorata.

2)       Cardoncelli, sale, pepe, pomodori appesi, ricotta dura, aglio, olio extravergine d’oliva, orecchiette o cavatelli. Pulire i cardoncelli dalle spine, lavarli accuratamente, tuffarli in acqua salata e bollente. A mezza cottura aggiungere orecchiette o cavatelli. A parte preparare una salsa con pomodoro fresco, olio extravergine e aglio. Una volta che orecchiette o cavatelli insieme ai cardoncelli sono cotti, scolarli e condirli con la ricotta dura, poi aggiungere la salsina di pomodoro e una spolverata di pepe.

Per il suo gusto il cardo mariano ben si abbina anche alla carne di agnello e alle uova
buon appetito

    continuate a leggere le notizie dal web tratti da siti scientifici  per le sue proprietà salutari


 Il cardo mariano (Silybum marianum) è una pianta erbacea biennale appartenente alla famiglia delle Asteracee. In fitoterapia il cardo mariano viene utilizzato per il trattamento delle affezioni epatiche. Gli effetti epatoprotettori sono dovuti alla silimarina, un insieme di tre sostanze: la silibina, la silidianina e la silicristina. Oltre che nel cardo mariano, la silimarina è contenuta in molte piante fra cui il Cynara cardunculus (l'antenato del carciofo).
I preparati a base di cardo mariano, grazie alla presenza della silimarina, hanno un effetto epatoprotettivo e accelerano il processo di rigenerazione del fegato, dato che aumentano l'attività metabolica delle cellule epatiche.
La silimarina contenuta nel cardo mariano stimola la sintesi proteica (con un incremento dell'attività del ribosoma RNA attraverso la polimerasi nucleolare A) e la rigenerazione del parenchima epatico.
La silimarina esplica una funzione di difesa contro parecchie sostanze come il tetracloruro di carbonio, la galattosamina, le tossine dell'amanita falloide (falloidina) e l'alcol. Inoltre è un antiossidante che previene l'ossidazione dei lipidi e la distruzione delle membrane cellulari.
I preparati a base di cardo mariano sono privi di tossicità (20 g di silimarina per kg di peso sono perfettamente tollerati); per questo motivo il cardo mariano è considerata una delle piante epatoprotettive per eccellenza.
Nella maggior parte dei casi, la silimarina produce un miglioramento netto dei sintomi soggettivi e oggettivi nel giro di una-due settimane di trattamento (aumento dell'appetito, del peso, scomparsa dell'astenia, dei disturbi digestivi, diminuzione del volume del fegato ecc.). I miglioramenti sono ancora più importanti considerando ammalati cronici (etilisti di lunga data). La silimarina viene eliminata tramite la bile. Va assunto su consiglio medico.

 Il cardo mariano è utile per coloro che soffrono di lievi patologie epatiche. Può risultare di una certa efficacia nella cura e nella prevenzione della cirrosi epatica indotta dall'abuso di sostanze alcoliche.



Cardo Mariano in compagnia di Borragine
  Si dice che Federico II ottenesse la guarigione da una persistente emicrania che lo torturava, con decotto di Cardo.



le foto sono di Pietro Giulio Pantaleo
 Il cardo mariano è tipico delle regioni mediterranee, si trova nei terreni incolti e freschi, lungo le strade di campagna. E' una pianta robusta, con capolini color porpora, emisferici ( tipo carciofo). Le foglie sono grandi, carnose , ruvide e spinose. Vicino alla nervatura presentano delle macchie bianche che, secondo la leggenda, sono gocce di latte della Madonna, cadute dal suo seno quando fuggiva per sottrarre  Gesù alla persecuzione di Erode. Da allora fu detto “mariano”. Nel linguaggio dei fiori è simbolo dell’austerità.
Grazie ai principi attivi il Cardo mariano veniva usato, fin dai tempi antichi, come antiemorragico, depurativo, diuretico e febbrifugo. Le foglie hanno soprattutto proprietà aperitive, disintossicanti e curative del fegato. In effetti il Cardo Mariano è da secoli la pianta officinale più utilizzata per proteggere il fegato. Da un lato aiuta le cellule prima, dando loro gli strumenti necessari per proteggersi dagli agenti inquinanti o patogeni e dall’altro le aiuta dopo a disintossicarsi. Quindi nel Cardo Mariano si ha un’azione sia preventiva sia curativa. Si dice che Federico II ottenesse la guarigione da una persistente emicrania che lo torturava, con decotto di Cardo.

Le virtù erboristiche del cardo mariano sono racchiuse nella silimarina, un ben noto principio attivo, utile per aiutare la funzionalità epatica. Il fruttosio presente in questo formulato viene rapidamente utilizzato dal fegato e serve come riserva di energia naturale.
Fin dai tempi antichi è conosciuta per uso alimentare. Le foglie giovani, private delle spine, erano un ristoro per le donne che andavano a lavorare in campagna. Possiede principi attivi efficaci per l'apparato cardio-vascolare e per la funzione epatica.
Si consumano ad insalata, crudi o cotti gratinati.
E' faticoso raccoglierli perché pungono

Anche le farfalle sono ghiotte del cardo mariamo e vi è una specie che ne prende il nome.
La farfalla Vanessa cardui L. depone le uova sui margini fogliari del cardo e dei sui congeneri e il bruco se ne ciba.

 questa Vanessa, presumibilmente Atlanta, è stata fotografata da me.

lunedì 14 gennaio 2013

Carrubo: Specie monumentale tutelato dalla L.R. 14/2007

Per le grotte e gli ipogei diffusi sul territorio pugliese nel momento in cui vengono scoperti e censiti viene apposto dall'organo ufficiale un "bollino" metallico numerato. Così facendo si ha l'esatta localizzazione del sito. La l.r. n. 14 del 04/06/2007 pubblicata dul BURP n. 83 supplemento 2007, lo stesso sul quale è pubblicata la legge di istituzione del Parco di Lama Balice, regola la tutela degli ulivi e di tutte le specie arboree con caratteristiche monumentali, e tra esse viene citato il Carrubo. Nel Parco di Lama Balice molti esemplari secolari sono andati distrutti nei recenti incendi ma ce ne sono ancora altri che sarebbe necessario censire e registrare, così come un esemplare di ciliegio dal diamentro di 150 cm circa.

Il carrubo nel paesaggio del Parco di Lama Balice

 Il nome scientifico del carrubo (Ceratonia siliqua L.) deriva da greco Keras, che significa corno e dal latino siliqua con riferimento al tipo e alla forma del frutto che, come per tutte le specie della stessa famiglia, è rappresentato da un legume. Il nome comune deriva dal termine arabo Kharrub.
Anche per le regioni italiane è interessante vedere i diversi nomi con cui viene indicata la specie.
Così abbiamo Garrubaro o Garrubbo in Calabria, Sciuscella in Campania, Carrua o Carrubbi in Sicilia, Asceneddha in Basilicata e Cornola o Cornula in Puglia.
I semi, di forma lenticolare, duri e lucidi, grazie alla loro relativa uniformità di peso, erano utilizzati, in passato, come unità di misura per metalli e preziosi. In greco erano chiamati Keration e da qui l’origine del termine Carato che ancora oggi si identifica nell’unità di misura del grado di purezza di alcuni preziosi.
Nonostante il ruolo nobile prima descritto, anche il carrubo rientra nella lista degli alberi incriminati di aver offerto un ramo per il suicidio di Giuda; nel caso specifico si tratta di una tradizione che riguarda il carrubo selvatico.
In Siria e nell’Asia Minore, invece, la specie era sotto la protezione di San Giorgio; ancora oggi si possono incontrare chiesette dedicate al Santo, protette dalla rassicurante ombra del carrubo.
Il carrubo è una pianta originaria della Siria e dell’Asia Minore; alcuni autori sostengono che sia avvenuto nel medioevo, attraverso la Spagna, dove era stato portato dagli arabi. Si sostiene che il carrubo ha, in Europa, una storia molto più antica.
Fino agli anni sessanta l’Italia era uno dei paesi di maggiore produzione, al secondo posto dopo la Spagna, tra i paesi del Mediterraneo. Il crollo della produzione, avvenuto negli anni successivi, è stato inesorabile; la sostituzione con colture più redditizie e, soprattutto, la scomparsa dei piccoli allevamenti familiari nei quali erano utilizzati i frutti per l’alimentazione del bestiame ne hanno sancito il netto abbandono.

I frutti, per il loro alto contenuto di zuccheri si sono prestati utilmente per la produzione di alcool; nelle distillerie pugliesi la lavorazione delle carrube si alternava a quella dei fichi secchi.
Il procedimento usato per la distillazione consisteva nella frantumazione delle carrube, quindi si pressava la polpa ed il liquido ottenuto veniva sottoposto a fermentazione previa l’aggiunta di lieviti specifici. La resa in alcool, variabile a seconda delle varietà, oscilla tra il 20 ed il 25%.
Alimento molto gradito agli animali, i frutti del carrubo hanno trovato largo impiego nelle produzione dei mangimi oltre che naturalmente nel consumo diretto, semplicemente sminuzzati.
Un interessante utilizzo è quello dell’industria farmaceutica e della medicina popolare.
La farina di carrube ha azione antidiarroica; questa azione è dovuta ad un triplice meccanismo d’azione: fisico, per il contenuto di idrati di carbonio che hanno la capacità di assorbire forti quantità di liquido; chimico, l’elevato potere tampone della farina che quindi è in grado di combattere l’acidosi nelle enteriti diarroiche; ed infine un’azione chimico-fisica per l’azione assorbente della farina sulle tossine presenti nell’intestino.

La medicina popolare fa uso diretto dei frutti in un dolcissimo decotto, utile per la tosse e le bronchiti; viene preparato con 5-6 carrube, altrettanti fichi secchi, qualche foglia di alloro e, in alcuni paesi 50 grammi di orzo, il tutto lasciato bollire per mezz’ora in un litro d’acqua. Quello che ne viene fuori è senza dubbio una bevanda dolce e gradevole da provare anche indipendentemente dalla stato di malattia.
Non sono che alcuni dei tanti utilizzi passati, attuali e possibili di cui il carrubo è oggetto; si parla anche di pane di carrube, sciroppo di carrube, surrogato del caffè di carrube, vinello di carrube, liquore di carrube (noto in Turchia con il nome di “Scherbet” ed ottenuto dalla polpa), cioccolato di carrube.

Come in tutti i casi analoghi la riduzione della coltivazione ha determinato la perdita di biodiversità della specie nel senso che sono scomparse o stanno per scomparire molte varietà di carrubo che prima erano diffuse e apprezzate per le loro caratteristiche diverse. Forse non tutti sanno, infatti, che anche per il carrubo si parla di varietà diverse. Giacinto Donno, studioso della piante agrarie della Puglia, ne descrive oltre dieci per questa regione; nomi come “Amele”, “Triggianesca”, “Sottile”, “Grossa” sono certamente scomparsi dal vocabolario comune anche nelle zone dove massima era la coltivazione; il tipo spontaneo prevale in vicinanza delle coste, nelle macchie termofile dove, insieme all’olivastro, forma una vegetazione particolare chiamata: Oleo-Ceratonion.
Qualora non sia ancora scomparsa la varietà vera e propria è certamente svanita la sua conoscenza e questo è il primo passo per la perdita definitiva delle antiche varietà locali.
Ma la perdita più visibile, anche per i non addetti ai lavori, è certamente quella che si esprime a livello di paesaggio. Il carrubo elemento strutturale, insieme all’olivo, al fico, al cappero, dei terrazzamenti costieri, è stato sempre più spesso sacrificato, nei nostri paesi, per far posto al cosiddetto verde ornamentale delle villette a mare. Quel verde anonimo e decontestualizzato in cui dominano cipressi dell’Arizona, Acacie ed Eucalipti australiani, Pini a volontà.

Le forme “arcaiche” del tronco e dei rami, il verde lucente delle foglie coriacee e persistenti, la suggestione della forma e dell’odore delle carrube sospese sull’albero o stese al terreno in un microcosmo di organismi e nutrimento, tra insetti e piccoli roditori che ne fanno incetta non rappresentano che alcuni dei tanti motivi della sua importanza.
La conservazione di questa e di altre specie dei cosiddetti “frutti minori” è possibile grazie al lavoro delle istituzioni scientifiche come gli orti botanici soprattutto per il reperimento delle antiche varietà, la conservazione e catalogazione dei semi, il ripristino di ambienti degradati dove la presenza del carrubo era accertata, ma anche grazie all’azione di singoli cittadini che tornando a piantarlo nei loro giardini gli restituiscono il suo grande valore ambientale, paesaggistico e ornamentale.










 (tutte le foto sono di Pietro Giulio Pantaleo)

venerdì 4 gennaio 2013

Esplorare, conoscere, diffondere... per educare


In queste foto scattate da Sergio Chiaffarata, la scoperta di una cavità ricca di risposte alle nostre numerose domande. In verità con Ferdinando e Francesco l'avevamo già segnalata qualche mese fa ma non essendo abbastanza esperti abbiamo voluto aspettare la disponibilità di Sergio ormai noto esploratore.  Ora aspettiamo la visita di un gruppo di speleologi per un'analisi scientifica più approfondita. Intanto fissiamo questo paletto sull'esistenza delle grotte e sul loro utilizzo da parte dell'uomo. Non possiamo certo equipararci alle grotte di Castellana e Putignano (per restare nei paraggi) ma ciò che conta è sapere che nel Parco della Lama Balice esistono per registrarle nell'apposito archivio regionale. 
Ci auguriamo che tutte queste scoperte, insieme alla presenza delle specie vegetali e animali, vengano menzionate dall'Ente Parco per il redigendo Piano di Gestione.
Noi crediamo che solo conoscendo a fondo e nel profondo questo Parco, descrivendone metro per metro come è costituito, si potrà redigere un documento di programmazione sostenibile e finanziabile.

Ci appare abbastanza inconsueto come mai sia stato pubblicato un bando per l'affidamento della redazione del piano, affidato e non si siano visti nel Parco "esploratori" e esperti naturalisti.

Auspichiamo che non facciano il solito piano "bluff" scevro da ogni puntualizzazione per poi renderlo inefficace per lasciare spazio ad altri interventi.

Queste foto sono pubblicate su facebook.com nella pagina "Complessi ipogei" amministrata da Sergio Chiaffarata, a cui va tutto il nostro apprezzamento per il prezioso lavoro che sta compiendo per portare alla luce e in luce quanto di più prezioso abbiamo sotto i nostri piedi.