lunedì 14 gennaio 2013

Carrubo: Specie monumentale tutelato dalla L.R. 14/2007

Per le grotte e gli ipogei diffusi sul territorio pugliese nel momento in cui vengono scoperti e censiti viene apposto dall'organo ufficiale un "bollino" metallico numerato. Così facendo si ha l'esatta localizzazione del sito. La l.r. n. 14 del 04/06/2007 pubblicata dul BURP n. 83 supplemento 2007, lo stesso sul quale è pubblicata la legge di istituzione del Parco di Lama Balice, regola la tutela degli ulivi e di tutte le specie arboree con caratteristiche monumentali, e tra esse viene citato il Carrubo. Nel Parco di Lama Balice molti esemplari secolari sono andati distrutti nei recenti incendi ma ce ne sono ancora altri che sarebbe necessario censire e registrare, così come un esemplare di ciliegio dal diamentro di 150 cm circa.

Il carrubo nel paesaggio del Parco di Lama Balice

 Il nome scientifico del carrubo (Ceratonia siliqua L.) deriva da greco Keras, che significa corno e dal latino siliqua con riferimento al tipo e alla forma del frutto che, come per tutte le specie della stessa famiglia, è rappresentato da un legume. Il nome comune deriva dal termine arabo Kharrub.
Anche per le regioni italiane è interessante vedere i diversi nomi con cui viene indicata la specie.
Così abbiamo Garrubaro o Garrubbo in Calabria, Sciuscella in Campania, Carrua o Carrubbi in Sicilia, Asceneddha in Basilicata e Cornola o Cornula in Puglia.
I semi, di forma lenticolare, duri e lucidi, grazie alla loro relativa uniformità di peso, erano utilizzati, in passato, come unità di misura per metalli e preziosi. In greco erano chiamati Keration e da qui l’origine del termine Carato che ancora oggi si identifica nell’unità di misura del grado di purezza di alcuni preziosi.
Nonostante il ruolo nobile prima descritto, anche il carrubo rientra nella lista degli alberi incriminati di aver offerto un ramo per il suicidio di Giuda; nel caso specifico si tratta di una tradizione che riguarda il carrubo selvatico.
In Siria e nell’Asia Minore, invece, la specie era sotto la protezione di San Giorgio; ancora oggi si possono incontrare chiesette dedicate al Santo, protette dalla rassicurante ombra del carrubo.
Il carrubo è una pianta originaria della Siria e dell’Asia Minore; alcuni autori sostengono che sia avvenuto nel medioevo, attraverso la Spagna, dove era stato portato dagli arabi. Si sostiene che il carrubo ha, in Europa, una storia molto più antica.
Fino agli anni sessanta l’Italia era uno dei paesi di maggiore produzione, al secondo posto dopo la Spagna, tra i paesi del Mediterraneo. Il crollo della produzione, avvenuto negli anni successivi, è stato inesorabile; la sostituzione con colture più redditizie e, soprattutto, la scomparsa dei piccoli allevamenti familiari nei quali erano utilizzati i frutti per l’alimentazione del bestiame ne hanno sancito il netto abbandono.

I frutti, per il loro alto contenuto di zuccheri si sono prestati utilmente per la produzione di alcool; nelle distillerie pugliesi la lavorazione delle carrube si alternava a quella dei fichi secchi.
Il procedimento usato per la distillazione consisteva nella frantumazione delle carrube, quindi si pressava la polpa ed il liquido ottenuto veniva sottoposto a fermentazione previa l’aggiunta di lieviti specifici. La resa in alcool, variabile a seconda delle varietà, oscilla tra il 20 ed il 25%.
Alimento molto gradito agli animali, i frutti del carrubo hanno trovato largo impiego nelle produzione dei mangimi oltre che naturalmente nel consumo diretto, semplicemente sminuzzati.
Un interessante utilizzo è quello dell’industria farmaceutica e della medicina popolare.
La farina di carrube ha azione antidiarroica; questa azione è dovuta ad un triplice meccanismo d’azione: fisico, per il contenuto di idrati di carbonio che hanno la capacità di assorbire forti quantità di liquido; chimico, l’elevato potere tampone della farina che quindi è in grado di combattere l’acidosi nelle enteriti diarroiche; ed infine un’azione chimico-fisica per l’azione assorbente della farina sulle tossine presenti nell’intestino.

La medicina popolare fa uso diretto dei frutti in un dolcissimo decotto, utile per la tosse e le bronchiti; viene preparato con 5-6 carrube, altrettanti fichi secchi, qualche foglia di alloro e, in alcuni paesi 50 grammi di orzo, il tutto lasciato bollire per mezz’ora in un litro d’acqua. Quello che ne viene fuori è senza dubbio una bevanda dolce e gradevole da provare anche indipendentemente dalla stato di malattia.
Non sono che alcuni dei tanti utilizzi passati, attuali e possibili di cui il carrubo è oggetto; si parla anche di pane di carrube, sciroppo di carrube, surrogato del caffè di carrube, vinello di carrube, liquore di carrube (noto in Turchia con il nome di “Scherbet” ed ottenuto dalla polpa), cioccolato di carrube.

Come in tutti i casi analoghi la riduzione della coltivazione ha determinato la perdita di biodiversità della specie nel senso che sono scomparse o stanno per scomparire molte varietà di carrubo che prima erano diffuse e apprezzate per le loro caratteristiche diverse. Forse non tutti sanno, infatti, che anche per il carrubo si parla di varietà diverse. Giacinto Donno, studioso della piante agrarie della Puglia, ne descrive oltre dieci per questa regione; nomi come “Amele”, “Triggianesca”, “Sottile”, “Grossa” sono certamente scomparsi dal vocabolario comune anche nelle zone dove massima era la coltivazione; il tipo spontaneo prevale in vicinanza delle coste, nelle macchie termofile dove, insieme all’olivastro, forma una vegetazione particolare chiamata: Oleo-Ceratonion.
Qualora non sia ancora scomparsa la varietà vera e propria è certamente svanita la sua conoscenza e questo è il primo passo per la perdita definitiva delle antiche varietà locali.
Ma la perdita più visibile, anche per i non addetti ai lavori, è certamente quella che si esprime a livello di paesaggio. Il carrubo elemento strutturale, insieme all’olivo, al fico, al cappero, dei terrazzamenti costieri, è stato sempre più spesso sacrificato, nei nostri paesi, per far posto al cosiddetto verde ornamentale delle villette a mare. Quel verde anonimo e decontestualizzato in cui dominano cipressi dell’Arizona, Acacie ed Eucalipti australiani, Pini a volontà.

Le forme “arcaiche” del tronco e dei rami, il verde lucente delle foglie coriacee e persistenti, la suggestione della forma e dell’odore delle carrube sospese sull’albero o stese al terreno in un microcosmo di organismi e nutrimento, tra insetti e piccoli roditori che ne fanno incetta non rappresentano che alcuni dei tanti motivi della sua importanza.
La conservazione di questa e di altre specie dei cosiddetti “frutti minori” è possibile grazie al lavoro delle istituzioni scientifiche come gli orti botanici soprattutto per il reperimento delle antiche varietà, la conservazione e catalogazione dei semi, il ripristino di ambienti degradati dove la presenza del carrubo era accertata, ma anche grazie all’azione di singoli cittadini che tornando a piantarlo nei loro giardini gli restituiscono il suo grande valore ambientale, paesaggistico e ornamentale.










 (tutte le foto sono di Pietro Giulio Pantaleo)

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